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“Posso chiamarvi mamma e papà?”

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“Mi piace stare con voi, posso chiamarvi mamma e papà?” Al 12enne Giulio è bastata una frase per sciogliere tutte le convinzioni di Marco e Francesca. Loro, freschi trentenni, erano convinti che avere un figlio volesse dire concepirlo e partorirlo. “Da quel momento ho capito che lui è come se fosse mio figlio, e non mi importa il legame di parentela, perché il rapporto che si è formato è talmente forte che niente potrà scalfirlo, neanche quando se ne andrà – ha confessato Marco, padre affidatario del ragazzo –l’importante per me è che lui sia felice. E giuro farò di tutto perché lui lo sia”.

Ecco l’intervista a questa giovane coppia, che ha frequentato il corso per famiglie affidatarie della Fondazione L’Albero della Vita e che senza mezzi termini ci racconta le fatiche, le angosce e le gioie di un’esperienza che ha rivoluzionato le loro esistenze.
(i nomi di tutti sono inventati, per garantire la loro sicurezza).

Come vi siete avvicinati all’affido?

Avevamo difficoltà ad avere figli, ci siamo guardati in faccia e abbiamo capito che non volevamo essere genitori a ogni costo, ma aiutare un bambino a crescere. Così un giorno un amico ci ha portato in una comunità di famiglie con dei figli in affido. Non ne sapevamo niente, ma ci siamo accorti che quei piccoli erano felici. Da lì ci siamo avvicinati all’Albero della Vita e alla fine quando ci hanno proposto di aiutare un adolescente abbiamo detto sì.

È stata dura iniziare?

Ci siamo presi il tempo per pensare, abbiamo staccato la spina con le famiglie e col lavoro, per non essere influenzati. Siamo giovani, abbiamo poco più di 30 anni, far arrivare un 12enne ti cambia tutta la vita. Per fortuna il ragazzo è eccezionale.

Come sono andati questi 7 mesi?

Ci hanno sconvolto la vita. Un giorno Giulio è entrato in casa e ci ha chiesto di parlare. “Sentite – ci ha detto – io vi ho osservato, ho visto che vi comportate bene con me, e ho deciso: mi piace stare con voi, posso chiamarvi mamma e papà?

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Mamma e papà? Voi come avete risposto?

Ci sono cadute tutte le certezze. Io pensavo che un figlio fosse tuo quando lo concepisci e lo partorisci. Quelle parole mi hanno cambiato il mondo, ora non me ne frega niente di avere un figlio naturale, Giulio per me è come se lo fosse.

Però prima o poi tornerà dalla sua famiglia.

Lo sappiamo, ma non si dimenticherà mai di quello che noi gli abbiamo dato. Il rapporto è troppo solido. È come quando un figlio si sposa e si trasferisce, non si staccherà mai da noi.

E come coppia, come avete vissuto questo turbinio di emozioni?

Per dei giovani senza figli il rapporto di coppia cambia. Serve più attenzione, perché quando ti affidano un ragazzo, accogli anche i suoi problemi. Ci siamo uniti per aiutarlo a risolverli, quando è arrivato aveva insicurezze, crisi di identità, mancanza di fiducia, di tutto di più. E tanta difficoltà a parlare.

Vi siete messi in discussione?

Avevamo un rapporto di amore profondo, ma prima della scelta abbiamo fatto una valutazione seria. Nessuno dei due l’ha fatto per accontentare l’altro, o saremmo scoppiati sotto le tensioni, i litigi e i momenti di sconforto. Ma se la coppia è unita, questi momenti tristi diventano grandi successi e soddisfazioni che cancellano tutto quello che si è passato.

I successi ci sono stati?

Tanti. Né io né mia moglie dimenticheremo il primo pianto liberatorio con cui Giulio si è sfogato con noi, quello che ci ha raccontato, il suo passato che non ha mai detto neppure ai tanti psicologi con cui ha parlato.

È una grande responsabilità.

La verità è che in questi mesi ho litigato con tutti purché i suoi diritti fossero rispettati. La gente non sa quante difficoltà abbiamo avuto. Anche per non far rinunciare a Giulio di realizzare le sue passioni ho dovuto smuovere mari e monti. Era importante, se non l’avessi fatto lui avrebbe dovuto rinunciare a divertirsi con gli amici per colpa della burocrazia.

Avete lottato per la sua felicità?

Saperlo felice tra 6 mesi ci riempie il cuore, ovunque sia. L’importante è che sia felice. O giuro che mi scontrerò con il mondo perché lo sia.

Cosa avete scoperto durante il corso?

È stato davvero forte, sapevamo che affido volesse dire ospitare un bimbo in casa senza diritto di parentela, ma non ci immaginavamo di tante altre difficoltà: i tribunali, i genitori naturali con le loro problematiche, i mille problemi con gli operatori. Ci hanno fatto un po’ di terrore psicologico iniziale, ma è servito per scremare chi volesse solo una via preferenziale per avere un figlio. Le storie a lieto fine ce le hanno raccontate solo alla 4° lezione.

Oggi il corso “continua”?

Il fatto di avere gli operatori della Fondazione L’Albero della Vita che ci sostengono e ci seguono è un grande aiuto.

 

Avete mai chiesto a Giulio cosa ne pensa di questa esperienza?

Prima di presentarci come “testimoni” all’ultimo corso gli abbiamo chiesto come descriverebbe l’affido ad un amico. Ci ha risposto “gli direi di fidarsi perché è bello e si sta bene”. Per noi è stata la cosa più gratificante della nostra vita, altro che vincere al superenalotto.

 

Per info affido@alberodellavita.org
o telefonare al 3313316525

 

foto di simmbarb

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